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Visualizzazione dei post da ottobre, 2011

Il mio parere su Jane Eyre (2011)

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Guardando Jane Eyre (di Cary Fukunaga , 2011) mi sono ritrovata automaticamente a fare confronti sia con il classico Jane Eyre di Zeffirelli del 1996 sia con l'opera di Charlotte Bronte , in particolare con quest'ultima visto che è uno dei miei romanzi preferiti, il classico dei classici da tenere in libreria e rileggere di tanto in tanto, un po' come Madame Bovary o Orgoglio e pregiudizio , letteratura essenziale che sarebbe doveroso fare propria! Devo dire che il film di Fukunaga è molto rispettoso del romanzo, la sceneggiatura è ordinata e strettamente corrispondente alla trama del libro, per lo meno alla sua impalcatura fondamentale visto che sarebbe stato impossibile portare in scena per intero la sua imponente e dettagliata mole. Molta forza è stata data alla componente cupa, inquietante, quasi gotica del romanzo e la nebbia esterna da paesaggio vittoriano, i candelabri che illuminano e nascondono al tempo stesso, i rumori notturni contribuiscono a creare un'

Il "gioco freddo" dei Coldplay si scalda

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Chi come me ha adorato per anni il Chris Martin pallido e malinconico dalla voce struggente capace di inciderti il cuore, rimarrà in parte deluso nell'ascoltare il nuovo variopinto album Mylo Xyloto e nel ritrovare l'etereo britannico in versione super cool, super gasata, super solare, quasi disco-dance. Ebbene si, Mylo Xyloto fa ballare, scioglie i legamenti e scuote i muscoli, crea un automatico impulso di movimento e saltello in chi lo ascolta e ciò stupisce e delude al tempo stesso: che fine ha fatto quella deliziosa sensazione depressa e romantica che si provava ascoltando certi pezzi, da Trouble a The Scientist , da Yellow a Green Eyes ? Dov'è la solita poesia melodica e delicata, la voce sussurata e tenera, lo struggimento in puro stile Coldplay? In parte è svanito e il mio lato incline al solitario e doloroso romanticismo alla giovane Werther se ne rammarica. Eppure tutto questa ventata positiva e cromaticamente accesa, i motivetti belli svegli e frizzanti, gli o

Il mio parere su This Must Be the Place

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Premessa: adoro Sorrentino, trovo che ci sia una forza e una poesia ipnotizzante nel suo modo unico di girare un film, nei suoi movimenti di macchina scomposti, nei suoi primi piani violenti, nel suo uso di colori forti e luci decise, nel suo ricorrere costante e continuo alla musica fino a caricarla di senso, nel suo tocco grottesco e commovente al tempo stesso, nel suo inventare personaggi umanamente ed esteticamente strambi ma mai ridicoli, nella sottile malinconia di cui i suoi film sono romanticamente intrisi. Carica di questa passione, sono andata a vedere This Must Be the Place con profonda fiducia, nonostante avessi letto in giro recensioni tiepide e spesso scoraggianti, e devo dire che sono uscita dalla sala più che soddisfatta, piena di quella dolcezza triste sorrentiniana che mi avvolge dopo ogni suo film. Sean Penn nel ruolo dell'ex rock star Cheyenne è strepitoso, è un'icona indimenticabile, così buffo e tenero, con la sua testa corvina cotonata, gli occhi bi

Il mio parere su Melancholia

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Il volto in ralenti pallido, ingrigito, depresso di Kirsten Dunst ad apertura di film, così iconico e inquietante, così solenne e struggente, è entrato prepotentemente a far parte del mio personale repertorio di fermo immagine dalla potenza indimenticabile, ha superato perfino il volto conturbante e malinconico della stessa Dunst ne Il giardino delle vergini suicide che tanto mi aveva scosso e impressionato. Credo che in questo film l'attrice abbia raggiunto punte estreme di presenza scenica e forza visiva ed abbia reso in modo spaventosamente reale e credibile il concetto di malinconia, di depressione, di disgusto per la fragilità dell'esistenza, di rassegnazione. Ho pianto guardando il dolore di quel viso e ho pensato tutto il tempo guardando il film: "Che mostruosa meraviglia". Si, perché Melancholia , non è un film in senso stretto, ma un mostro meraviglioso, uno spietato dipinto di abisso e morte, una poesia straziante sulla piccolezza della nostra vita, e r

(Mini)serie tv mon amour: 9. Dowton Abbey

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La sorpresa trionfale degli ultimi Emmy Awards è stata la molteplice vittoria di una miniserie poco nota che di mini non ha nulla ma che si staglia superba e possente sul panorama televisivo seriale: Downton Abbey. Miglior miniserie, miglior sceneggiatura (Julian Fellowes), miglior regia (Brian Percival), miglior attrice non protagonista (Maggie Smith): tutti premi meritatissimi che sarei andata a consegnare di persona io stessa! Si tratta di un dramma inglese in costume prodotto dalla britannica Carnival Films per il network ITV, creato e sceneggiato da Julian Fellowes, già premio Oscar nel 2002 per la sceneggiatura di Gosford Park di Robert Altman, e diretto da Brian Percival, con attori di grande bravura e fascino british come Hugh Bonneville (Notting Hill, Mansfield Park) e con un'attrice premio Oscar del calibro di Maggie Smith. Gli elementi per fare di Downton Abbey una serie elegante, raffinata e di prima qualità c'erano tutti ed il risultato finale è quello di un pr

R.I.P. Steve!

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I Love Books: 17. L'estate francese

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Siamo in ottobre, l'estate sembra non volersi fare da parte ed è un bene perché libri del genere possono essere letti e apprezzati solo d'estate, con lo spirito leggero e poco profondo che questa stagione possiede e infonde. Al centro della vicenda narrata, - ambientata per lo più a Londra, con intermezzi africani e francesi - c'è la ricca e alto-borghese famiglia Keeler capitanata dalla madre Diana, avvocato di successo, donna altera e raffinata, lacerata da segreti dissidi interiori. Sono proprio i segreti o meglio il segreto di Diana il cuore e il mordente di questo romanzo. Accanto a lei i tre figli maschi e i loro amori: l'avvocato Aaron che si innamora di Julia, ragazza di umili origini conosciuta alla facoltà di legge, il chirurgo Rafe che sposa Maddy, un'aspirante attrice emotivamente fragile, e infine Josh, il più schivo e riservato dei figli, architetto nelle zone più povere del mondo, il cui cuore batte per Niela, rifugiata somala dal passato problema

Serie tv mon amour: 8. The big C

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La prima stagione di The big C per me era stata una folgorazione, un'autentica rivelazione nel panorama televisivo seriale, una dimostrazione di classe e approccio non scontato alla fastidiosa e delicata materia “cancro e come viverlo”, un esempio di eccellente e profonda partecipazione attoriale. Laura Linney (che non a caso ha vinto il Golden Globe 2011 grazie a questa serie), è memorabile, stupenda, pazzesca nel suo difficile ruolo di donna malata e dona a questa serie un carattere solare e positivo, persino buffo nonostante lo spietato tema trattato, ha la capacità di far tirare un respiro di sollievo di fronte alla grande paura universale che ci accomuna tutti. La seconda stagione di The big C, appena conclusasi, è, se possibile, migliore, ancora più piacevole e divertente e commovente della prima, ancora più ben sceneggiata e recitata, ancora più “miracolosa” e preziosa della precedente . Dopo il vitalismo sfrenato e arrabbiato del primo impatto con la malattia, Cathy appare