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Visualizzazione dei post da marzo, 2014

Il mio parere su A proposito di Davis

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LA NOIA. Uno dei film più noiosi, beceri e rallentati che abbia mai visto. Uno strazio, una piattezza, un'inconsistenza rara. C'è da dire che io e i fratelli Coen viviamo di reciproca indifferenza da anni e che il loro stile disimpegnato-impegnato, con quell'ironia in cui il demenziale vorrebbe passare per qualcosa di speciale e intellettuale, con quella fastidiosa latitanza di senso e di logica, non mi ha mai fatto impazzire. Non li detesto, ma posso benissimo fare a meno del loro humour poco immediato e della loro autoreferenzialità. Stavolta però credo si tratti di un dato oggettivo e che, al di là della regia, A proposito di Davis ( Inside Llewyn Davis , di Joel e Ethan Coen , 2014) sia un film completamente fallito. Perché? 1) Perché, pur parlando di musica folk e dell'epopea quotidiana di un musicista folk, non ha ritmo, mordente e capacità di racconto. Non comunica con lo spettatore e di conseguenza non lo emoziona. Se ci si sforza un po' si

Il mio parere su Her

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Her (di Spike Jonze , 2014) è un film paradossale e romantico. Unendo il paradosso e il romanticismo il risultato è un film bellissimo, dotato di una grazia e di una profondità che non ti aspetteresti. Essendo l'amore un grande paradosso, Her è anche un film in qualche modo naturale e di immediata empatia, pur parlando di un amore innaturale. Se penso ad un amore 2.0 virtuale, mediato da uno schermo o da un dispositivo portatile occasionalmente usato per telefonare, ad un amore non nato da una frequentazione live epidermica e occhi-su-occhi, mi sento male e detesto più che mai la mia epoca di banalità sentimentale e di volgare rapidità di contatto che è sempre più distacco. Pensare di trovare romantico un amore tra un uomo e un sistema operativo è assurdo come assurda è la situazione proposta da Spike Jonze . Ma quando c'è di mezzo Spike Jonze c'è sempre del paradosso e dell'assurdo e la cosa magnifica è trovare umanità e senso profondo all'interno di quest

Il mio parere su Il capitale umano e su Smetto quando voglio

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Questi due film hanno in comune solo il fatto che sono italiani e che sono andata a vederli al cinema nonostante fossero italiani. Inoltre mi sono piaciuti ma non troppo entrambi e ne faccio un pezzo unico sulla scia di un indice di gradimento comune (direi 3 stelle su 5) e di una medesima pigrizia ritardataria a riguardo. Il capitale umano (di Paolo Virzì , 2014) me l'aspettavo più bello e le recensioni che avevo letto mi avevano creato un tipo di aspettativa piuttosto alta. Sebbene abbia dell'eleganza, l'ho trovato un po' tetro e ingessato, come il Nord che mette in scena e come i suoi protagonisti, tipi (dis)umani e irritanti come pochi. Se si va al cinema con l'idea di Ovosodo e di altre commedie con la tipica impronta giovanilistica virziniana, si pensa di aver sbagliato sala e si cerca disperatamente (e inutilmente) un po' di verve e clownerie toscana all'interno del film, quel tipo di cinema quadro-sociale autoironico, con il suo tipico ap

I Love Books: 66. I fratelli Karamazov

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Dopo aver finito di leggere I fratelli Karamazov mi è successa una cosa strana: non sono riuscita a decidermi su cosa leggere dopo (ancora adesso, a distanza di 24 ore dalla fine, non lo so!), ho provato un senso di smarrimento, una fortissima sindrome dell'abbandono, un rifiuto fisiologico non voluto verso qualsiasi altra cosa scritta. Il riempimento è stato tanto e tale da farmi raggiungere una sorta di apice, di condizione massimale da lettrice, che ha reso impossibile, o forse sarebbe meglio dire indegna, qualsiasi altra nuova scelta di lettura. Non mi era mai successo, di solito scelgo con entusiasmo cosa leggere già allo scadere del libro di turno, ma questa volta il mio pensiero si è bloccato sulla parola "fine" del romanzo e si è rifiutato di voler pensare ad altro, come se quest'altro non fosse nemmeno esistente.  Credo che ciò sia da legare al fatto che è stata una lettura ASSOLUTA e con ciò intendo dire che I fratelli Karamazov è TUTTO, contiene p

Il mio parere su Nebraska

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Il contesto in cui ho visto questo film è piuttosto ironico: io e il mio ragazzo, di domenica pomeriggio, in un cinema dalla struttura e dall'odore old style (cosa che a dire il vero adoro), circondati su ogni lato e prospettiva da VECCHI. Non vecchi dall'aplomb distinto, silenziosi e cinefili, ma vecchi (e soprattutto vecchie) chiacchieroni e disturbanti, quel tipo di vecchio a cui la senilità sta facendo perdere l'educazione civica in nome di un arteriosclerotico ritorno all'infanzia. E siccome Nebraska (di Alexander Payne , 2013) è un film che parla di vecchi, di vecchiaia pesante e di giovani che devono in qualche modo gestirla, la cosa ci ha fatto sorridere (dopo le bestemmie mentali); è stata una sorta di esperienza di cinéma vérité, ai limiti della candid camera. Detto ciò, vi dico senza tergiversare che Nebraska è un film bellissimo. Potrei fermarmi qui, ma voglio anche dirvi che è una miscela perfetta di road movie scanzonato e cinema di riflessione, di