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Visualizzazione dei post da 2015

Il mio parere su Irrational Man

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Woody Allen è tornato e quest'anno (a differenza dello scorso anno ) è stato un regalo di Natale deluxe: cinico, beffardo, tragicomico come piace a me. Allen che cita Allen e che ritorna ancora sulle ossessioni-paure-visioni di Allen (e del genere umano tutto) senza per questo tediare lo spettatore alleniano e il non-alleniano. L'adesione costante ad una weltanschauung - mi perdoneranno i critici stanchi e brontoloni - , non vuol dire sterilità creativa, ma tutt'al più bagaglio di ispirazioni solide e cerchi mai chiusi perché è umanamente impossibile chiudere certe circolarità, soprattutto quelle che transitano intorno al binomio vita-morte. Se volete che Allen vi stupisca con qualcosa di nuovissimo e mai detto non volete davvero un film di Allen . L'originale Allen non è originale rispetto a se stesso e alla sua poetica e, per quel che mi riguarda, è un bene enorme. Ma veniamo a noi che il film l'abbiamo amato e non solo per fedeltà cieca e acritica al

Il mio parere su Love & Mercy

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Quando ascolto i Beach Boys mi si profilano davanti agli occhi distese sfacciate di luce estiva, zone mentali di completa leggiadria, di estati senza fine, di dolce vita, turbinii di colori vitaminici, di finestrini aperti dentro automobili in corsa verso i litorali d'agosto e across the USA . Una serie di fantasie positive e festaiole. L'album Pet Sounds è da sempre una delle mie forme preferite di svago sonoro, la mia unica possibilità di ritrovare il sorriso in una giornata votata al peggio. Un suono di campanellino che distende i nervi e li irradia di sole. I Beach Boys tirano su il morale e invitano a feste californiane sulla spiaggia da generazioni ed è una pena, una prova difficile, rendersi conto seriamente di quanto il loro leader fosse impaurito dal mondo, sofferente e tormentato da squilibri psichici. Sapevo, senza aver mai approfondito, dei problemi di Wilson, ma  Love and Mercy  (di Bill Pohlad , 2014) mi ha mostrato da vicino la verità paradossale di

I Love Books: 110. Chi ti credi di essere?

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Se c'è una cosa che Alice Munro sa fare con talento inattaccabile è entrare dentro una donna come una sonda, esplorarne l'interno, rapportarlo all'esterno, analizzarne con verità estrema l'esistenza, l'esperienza nel mondo, la condizione pregnante di creatura femminile, l'evoluzione, l'involuzione, la palingenesi, - se c'è - la storia e la collocazione geografica. La sua penna è una lente d'ingrandimento, ma anche un'esaltazione del microscopico. Le esistenze di cui narra sono un insieme completo di grande e piccolo, di determinante e di accessorio; vite qualunque tendenti al triste che nel farsi racconto si caricano di carisma e umanissimo appeal. Leggere una raccolta di racconti di questa autrice è un'esperienza di incontro ravvicinato con la vita in divenire e  Chi ti credi di essere? è la costruzione di questo divenire, ma anche il tirare le somme, è la domanda cruciale alla propria identità e la serie spesso incoerente d

I Love Books: 109. Spegnere le luci e guardare il mondo di tanto in tanto

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Con Virginia Woolf ho un rapporto anomalo: ne ammiro la capacità creativa e critica, il carisma letterario, l'attivismo, la pienezza drammatica e iconica della sua esistenza, eppure non posso dire di amare le sue opere. Mi sono arenata più volte con La signora Dalloway , annaspando, borbottando, sbadigliando. Ho finito di leggere Orlando , ma senza alcun tipo di piacere e quasi con fastidio psicosomatico. Ho sfiorato e poi evitato tutto il resto della sua produzione come si sfiorano e si evitano Proust  e  Joyce , per paura di ammettere che la noia che si prova è solo insensibilità e miseria intellettuale. Non mi sento predisposta alla narrazione woolfiana e alla sua dilatazione ondivaga e sperimentale, così poco romanzesca, così spesso orientata all'esercizio di stile, ad un'innovazione "antinaturalistica" a tratti dimentica del lettore. Oh no! Non sono una scrittrice di romanzi. Ho sempre voluto chiamare i miei libri in modo diverso. Ipse dixit

Il mio parere su Dark Places - Nei luoghi oscuri

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Su questo film ho poche considerazioni da fare; è anonimo e inefficace e fa parlare poco di sé. I luoghi oscuri del titolo credo siano quelli della memoria personale e collettiva in cui andrà a finire o in cui è già finito in fase di distribuzione. In pratica è come se questo film non esistesse. Per fortuna. Quando ho letto il nome di Gillian Flynn (il film è l'adattamento cinematografico del suo romanzo Dark Places ) ho subito accordato la mia fiducia alla pellicola e alla sua qualità thriller, mi sentivo protetta da fregature e pronta ad un po' di azione nera come si deve. Del regista Gilles Paquet-Brenner (ma chi è?) non sapevo nulla, ma il supporto letterario mi faceva ben sperare. Mi aspettavo una cosa tesa e mozzafiato alla  Gone Girl - L'amore bugiardo   (anch'esso tratto da un romanzo della Flynn , ma con esiti di tutt'altro stile), uno di quei thriller dall'impianto solidissimo che intrattengono e caricano di adrenalina, e invece  Dark Places

I Love Books: 108. Gli anni della leggerezza - La saga dei Cazalet

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Se amate Downton Abbey , l'Inghilterra d'epoca con la sua eleganza rituale, le saghe familiari dal respiro esteso, le descrizioni minuziose che danno l'illusione di essere fisicamente dentro le pagine, i romanzi affollati,  Gli anni della leggerezza , primo volume de La saga dei Cazalet di Elizabeth Jane Howard , (autrice riscoperta dalla Fazi editore , casa editrice a cui dedicherei un altare di riconoscenza letteraria), sarà pane per i vostri denti. Io amo tutte queste cose ed inevitabilmente ho trovato molta gioia nella lettura di questo libro. Mi si è aperto un mondo che ho preso a sorsate come una tazza di tè caldo, senza ingordigia, ma con una sensazione rinfrancante ad ogni seduta di lettura. Questo tipo di narrazioni così ampie e generose, con il loro taglio panoramico, quasi cinematografico, col loro scambio dinamico di punti di vista, non annoiano mai, non si ripetono mai. Conoscere uno per uno, nell'intimo, fino ad arrivare ai loro pensieri più appa

Il mio parere su Alaska

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Mi viene in mente una frase di Calvino se ripenso a questo film: ogni incontro di due esseri al mondo è uno sbranarsi. I protagonisti di Alaska si sbranano, si fanno a brandelli il cuore e l'esistenza all'istante e con una tenacia bellica, irrazionale. Alaska è una storia d'amore punk-rock. Da me ribattezzato A history of (romantic) violence . L'amore tra Fausto ( Elio Germano ) e Nadine ( Astrid Berges-Frisbey ) è disgraziato, arrabbiato, feroce, un ineluttabile richiamo al peggio, l'incontro di due anime perse e sole che insieme fanno corto circuito e che non possono vivere senza questa energia sbagliata e condizionante. Qui non ci sono baci, carezze e passeggiate mano nella mano, qui c'è un amore sempre in tensione che piange, urla, delude, riconquista con toni mai docili, con scelte mai facili. Un amore che nelle sue (precarie) fasi positive ha la bellezza della passione autentica e del darsi felicità reciproca, sempre con un trasporto eccezi

Il mio parere su Tutto può accadere a Broadway

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Freschissima, irrequieta, woodyalleniana, teatrale, eccentrica: questa commedia di Peter Bogdanovich è una cosa semplicemente adorabile. Tutto può accadere a Broadway (titolo originale She's Funny That Way ) è un invito a teatro, un gioco dinamico da cui lasciarsi travolgere e in cui è impossibile fermarsi a riflettere. Ci si entra dentro e si corre senza prendere quasi mai fiato, ma è una maratona vivificante. Una screwball comedy come quelle di una volta, un flusso concitato e nevrotico di incontri, scontri, equivoci, misunderstanding, sempre all'insegna di un'ironia sottilissima e un piglio brillante. Situazioni che non riposano mai e che innescano effetti domino lunghi quanto la durata del film. Non c'è un personaggio normale e affidabile in questa storia di (stra)ordinaria follia a Broadway, c'è un caos di tipi umani ben assortiti in quanto a nevrosi, ossessioni e manie ed è questa dimensione così variamente strampalata che flirta costantemente co

I Love Books: 107. Il buio oltre la siepe

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Può un romanzo essere una carezza e anche un colpo di pistola? Può essere ammantato di estate, di spensieratezza infantile, di giochi e scoperte, di riti e di scommesse, e avere la forza titanica di scrollare la coscienza e di far provare una rabbia ruggente? Il buio oltre la siepe può ed è questa la sua forza, la sua portata rigenerante e devastante al tempo stesso. Un tuffo nella beatitudine giocosa e creativa dell'infanzia (la mia empatia è stata tale da sovrapporsi completamente all'amarcord della mia infanzia) e uno sprofondare nella spire volgari e spietate della discriminazione razziale. Divertirsi e arrabbiarsi, con la stessa intensità, ma senza perdere mai di vista il potere e la levità dell'innocenza, il sorriso fanciullesco. La simpatia è appunto una delle chiavi di questo romanzo: è roba scottante, c'è di mezzo la questione razziale nel profondo Sud degli Stati Uniti degli anni '30, eppure ha un piglio scanzonato, lieve, una prospettiva ad alte

Il mio parere su The Walk

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Le storie di sogni impossibili e sognatori ostinatissimi mi mettono sempre un po' a disagio; mi ritrovo davanti alla narrazione di queste mirabolanti improbabili imprese e mi sento cinica, arresa al posto loro, diffidente verso ogni pretesa di supereroismo che non sia fumettistico, verso ogni forma di retorica esasperatamente ottimistica. Persino di fronte alla riuscita del'impresa mi viene da storcere il naso. Una storia come quella di Philippe Petit che il 7 agosto del 1974 fa quattro passi fra le nuvole o per meglio dire una camminata lunga quasi un'ora su un cavo sospeso tra le Twin Towers newyorkesi, ha in sé questo tipo di rischio (almeno per me) e può urtare la sensibilità di chi vive con i piedi saldati a terra. E anche chi soffre di vertigini. Soprattutto se la visione del film avviene in 3D. E qui interviene  Robert   Zemeckis  a riequilibrare le cose e a riportare un grande sogno, un'impresa pazzesca, all'interno di una dimensione umanissima e imp

Il mio parere su L'attesa

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L'opera prima di Piero Messina ha la grazia della calma, la poesia dell'indugio e la raffinatezza carica di senso della lentezza, quel tipo di lentezza che non è fatta di vuoti, ma di pieni silenti, simbolici, quasi metafisici. L'attesa di tipo diverso di due donne si affianca a quella dello spettatore, un'attesa tutt'altro che snervante, perché intrisa di bellezza visiva e di inviti alla pacatezza. Non ci si sente impazienti durante la visione del film, ma sospesi in una dimensione tra il surreale e la promessa, curiosi ma senza avidità. Messina oltre ad essere un sorrentiniano (è stato assistente alla regia per This Must be the Place e La grande bellezza ), è anche a mio avviso un caravaggesco: la sua ricerca della luce esteticamente più d'impatto ha a che fare con l'arte, è oltremodo suggestiva. Certi tagli di luce mi hanno fatto pensare anche al dipinto di Hopper (mio grande grande amore), Morning sun, così solare e inquietante. A dire il ve

Il mio parere su The Martian

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A me la fantascienza non piace, nemmeno quella d'autore (salvo un paio di recenti eccezioni), la trovo disumana ed eccessivamente tecnica, un trionfo di megalomania produttiva, di ingegneria aerospaziale che soppianta ogni forma di intimità. Non sono nemmeno una "scottiana" della prima ora e non mi sono mai galvanizzata per la gelatinosa mostruosità di  Alien né per la mitologia cyberpunk di Blade Runner . Eppure The Martian mi è piaciuto, mi ha dato gioia. Questo perché The Martian non è un film di fantascienza, ma un film comico, addirittura ridicolo, con la piena ed ostentata consapevolezza di essere tale. Che divertimento, che meravigliose libertà tamarre che si è preso Sir Ridley Scott , che balle spaziali! Finalmente un film di fantascienza in cui la parte fanta- ha la meglio sulla parte -scienza ma in modo deliberato, in cui non c'è traccia di quella seriosità o di quella solennità filosofica di cui è intrisa fino alla noia la fantascienza classic

Serie tv mon amour: 35. Mad men - stagione finale

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Quello che segue è un rapido, felice-infelice saluto finale ad una serie tv piezz' e' core. Non sono in vena di approfondimenti, la scia emotiva fa muovere le mie dita sulla tastiera e esprimerà certamente  en passant  otto lunghi anni di storia d'amore. Arrivo in ritardo (l'ultima puntata è andata in onda a maggio), ma almeno mi sono potuta congedare da questo tesoro di serie tv senza influenze mediatiche, sovrabbondanza opinionistica da social networks e chi più ne ha più ne metta. Sono la sola a celebrare questo saluto finale adesso e l'aver aspettato così a lungo la dice lunga sul mio non volermi staccare da questa serie-madre, da questo amore forte datato 2007-2015. Grazie Matthew Weiner , hai reso la mia pluriennale vita serale da divano in qualche modo migliore. Addio Don , ai tuoi bicchieri di whisky tintinnanti, alle tue lacerazioni e ai tuoi tormenti nascosti dietro l'ordine lucido dei tuoi capelli e dei tuoi vestiti buoni, al tuo appeal sexy

I Love Books: 106. Funny Girl

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Ho poco da dire su questo romanzo. Funny Girl , sottotitolo immaginario da me aggiunto: Unfunny novel . Non ho mai considerato Nick Hornby uno scrittore fondamentale, ma non posso negare di aver trovato in lui, specie a fine anni '90-primi anni 2000, un grande intrattenitore, un leggerissimo donatore di inviti all'autoironia, il re di quello scanzonato brit-pop narrativo di cui hai bisogno quando hai bisogno di cose facili, di un cazzone inglese che ti faccia ridere con stile. L'entusiasmo per Alta fedeltà è stato tale da generare la mia dichiarazione di alta fedeltà all'autore britannico; è vero che ero un'adolescente con una tendenza facile alla mitologia, ma il Nick Hornby di Alta fedeltà (e anche quello di About a Boy in effetti) fu un idolo salvifico, di una brillantezza mai sbiadita. Ecco, non per fare la solita nostalgica con la manfrina senile del "prima era tutto migliore", ma il Nick Hornby del 2014 fa ca**re e Funny Girl è una

I Love Books: 105. Sembrava una felicità

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Sembrava una felicità  di Jenny Offill (titolo originale Dept. of Speculation ) mi ha fatto venire in mente quei giochi che si trovano nelle riviste di enigmistica, quelli in cui si devono unire i puntini numerici per dare forma a ciò che sembra solo una sagoma puntinata. Mi ha fatto venire in mente anche l'intimità dei diari segreti, la profondità frammentaria dei pensieri di Pessoa nel suo famoso libro, i versi fulminei della migliore poesia. Quello che Sembrava una felicità sembra ad un primo sguardo fugace è una bozza, il progetto di un libro in fieri , una raccolta di annotazioni e suggestioni sciolte da sistemare e da far diventare trama compatta. Solo che la trama classica (che, badate bene, c'è) rimane per tutto il libro in questo stato disorganico e destrutturato, in questa versione a sprazzi, come post-it attaccati alla mente dell'autrice e sparsi in ordine (apparentemente) casuale nel corpo fratturato della narrazione. Il filo conduttore di Sembrava