Serie tv mon amour: 34. Transparent



Disfunzionale, stramba e con un'afflato malinconico e poetico: ecco com'è la famiglia protagonista di Transparent, una serie tv (per l'esattezza una webserie prodotta da Amazon) davvero originale, con un modo di essere tutto suo, liberamente stravagante.

Le storie di famiglia, siano esse letterarie o cinetelevisive, sono a mio parere tre le cose più intense da narrare e farsi narrare, possiedono nuclei narrativi interessanti e universali.
Se poi la famiglia in questione è problematica ai limiti della psichiatria, outsider in maniera portentosa, americana nella sua accezione più esagerata, l'intrattenimento è assicurato.
Considerando che l'ideatrice della serie, Jill Soloway, ha vissuto la stessa esperienza con il padre, tutto risulta ancora più straordinario.

Il fatto che il protagonista Mort faccia coming out e riveli ai suoi figli adulti di essere un transgender è solo una delle cose strambe di questa famiglia. I tre fratelli Pfefferman sono infatti problematici all'inverosimile, sono in crisi, sono strani.
Sarah (Amy Landecker) si (ri)scopre lesbica e lascia figli e marito per una vecchia fiamma giovanile, Josh (Jay Duplass) è un produttore discografico lievemente ninfomane e sentimentalmente fluttuante, Ali (Gaby Hoffmann) è una ragazza svagata, sospesa, indefinita (e di una bruttezza molto particolare, che mi aveva già colpito in Girls!).
E poi c'è Shelly (Judith Light), l'ex moglie di Mort, donna altrettanto sui generis.
Quello che una notizia del genere può attivare in soggetti di questo tipo è qualcosa di doppiamente sorprendente: l'atipicità è di casa, l'anomalia esistenziale è nel DNA.


Il bello di Transparent è il suo stile ibrido: ha una vivacità di base e una natura buffa, ma è anche ricca di momenti di scoramento e di riflessione, di pennellate più profonde, enfatizzate da una colonna sonora dolcemente indie, che le donano un tocco velatamente triste.
Il prosaico che sposa il poetico, l'humour inevitabile di una situazione sessualmente confusionaria, ma anche la vita nelle sue manifestazioni più comuni, alle prese con cose come solitudine, incomprensione, pregiudizio, affermazione personale.
Il tutto sempre assolutamente sopra le righe e oltre la prevedibilità.
Ecco, un'altra cosa bella di Transparent è proprio questa: non sai mai cosa succederà, ogni puntata può essere rivoluzionaria o in stasi, ma ha comunque un grande carisma.

La bellissima sigla di apertura mi fa sempre sentire emotiva, ha il potere nostalgico dei filmini amatoriali dei decenni che furono e sa di memorie famigliari, di ricordo, di nostalgia, ma anche di lustrini e di spettacoli improvvisati. Perfetta sintesi sonora dello splendido stile semiserio di questa serie.


Le interpretazioni sono eccezionali, ma la "regina" indiscussa è Jeffrey Tambor nel ruolo di Mort/Maura (ha vinto il Golden Globe, giustamente), il trans-parent che decide dopo anni di sotterfugi di essere trasparente, di rivelare la sua vera essenza.
Tambor ha una credibilità e una capacità di immedesimazione nel travestitismo che diverte e commuove insieme, è indimenticabile.


Se amate le serie tv dall'anima hipster (ma in senso positivo), che seguono un canone tutto loro e sono amabilmente sospese tra il grottesco e lo spessore, tra il travestimento pacchiano e un più profondo mettersi a nudo, Transparent sarà oggetto della vostra adorazione, come lo è stata per me e occuperà un posticino speciale nella parte più alternativa del vostro cuore.

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