I Love Books: 127. Il tempo dell'attesa - La saga dei Cazalet (secondo volume)


Continua senza fretta, con un senso pervasivo di stasi, con distacco dagli accadimenti grandi e con indugio su quelli piccoli, anche minimi, la saga dei Cazalet di Elizabeth Jane Howard.

Confermato con questo secondo volume il mio amore pieno per il microcosmo Cazalet e per la delicata scrittura della Howard.

Il tempo dell'attesa ha nel titolo la sua esatta portata: tutto è messo in standby dalla seconda guerra mondiale, tutti i personaggi sono come "color che son sospesi", in un limbo storico e personale dove l'unica cosa che si può fare è ingannare l'attesa, tentare di smuovere l'immobilità in qualche piccolo modo domestico, svolgere mansioni, leggere, mangiare, andare a fare compere a Londra, provare comunque a far progredire le proprie ambizioni o a confermare le proprie inclinazioni.

Tutto è fermo, ma la sensazione che si ha leggendo è quella di una preparazione, di una di quelle fasi della vita in cui ci si interroga, ci si predispone all'ascolto della propria personalità, si vive di routine e di qui e ora, si ignora il futuro, e tuttavia i moti interiori non hanno sosta, gli interrogativi scalpitano.

Ancora una volta, come è stato per il primo volume Gli anni della leggerezza, le atmosfere sono tutto e la Howard si conferma straordinaria creatrice di atmosfere e descrittrice di ambienti, donatrice di dettagli, di sfumature, di miniaturismo, di tutto ciò che può far respirare l'esatta aria che respirano i suoi umanissimi Cazalet.
A Home Place i ragazzi più grandi cenarono nel vestibolo, sia perché avevano superato l'età per mangiare latte e biscotti in camera, sia perché gli adulti volevano per sé la sala da pranzo, e a tavola regnava lo sconforto in quanto neppure a un paio di loro era stato concesso il consueto privilegio. Stavano mangiando carne macinata e purè di patate con fagioli di Spagna, mentre il cielo, al di là del lucernario a volta, passava dal viola all'indaco, tagliato come fette di melone dai montanti che, notò Clary, erano stati scuri finché c'era stata luce e poi erano diventati più chiari man mano che imbruniva. Dal piano di sopra si sentiva un tramestio di rubinetti aperti, porte che venivano aperte e chiuse e adulti che si preparavano per la cena. Bessie, la grossa labrador del Generale, se ne stava allungata ai piedi di Christopher e lo guardava con un'espressione avida che cercava di far passare per devota.

Potrei sprofondare dentro descrizioni così minuziose, sensoriali, polifoniche.
E.J. Howard è un talento assoluto in questo, credetemi,

L'immersione per il lettore è spontanea, le nostre coordinate spazio-tempo si fanno quelle del romanzo, siamo anche noi Cazalet a Home Place nel Sussex o a Londra, siamo in quel punto, in quelle stanze con le finestre oscurate da tendaggi, fra quei dissidi silenti che ognuno vive a suo modo, ghermiti dalla sicurezza domestica che le pagine emanano e le confortanti tazze di tè evocano, in tensione e in pausa come i protagonisti.

Siamo DENTRO, completamente inseriti nelle dinamiche famigliari dei Cazalet, inglesi, borghesi, in attesa e in tempi di guerra anche noi come loro.

La dilatazione interna a questo secondo volume è pacifica: fuori dalle mura del romanzo la guerra esplode con ferocia, ma dentro le varie tenute dei Cazalet tutto è ovattato, appeso ad una parvenza di quieta normalità, in attesa di una fine o un inizio.

I personaggi dichiarano più volte la loro insofferenza, la parola noia ritorna spesso, soprattutto fra i più giovani.

Sarebbe lecito chiedersi coma possano la noia, la sospensione, l'inattività farsi materia romanzesca e c'è chi parlato di eccessiva lentezza a proposito di questo volume (e di tutta la saga).

Io rispondo così: non succede quasi niente, è vero, l'azione è ridotta al minimo, ma le descrizioni d'insieme e ad personam sono perfette e sono sublimi rotaie per il movimento del romanzo, che non ha bisogno di traini estremi, di colpi netti per essere appassionante e pieno, per creare dipendenza nel lettore.

Dal mio punto di vista, la capacità di analisi critica e psicologica di Elizabeth Jane Howard dà il meglio di sé proprio in situazioni domestiche, nella messa a punto impeccabile di descrizioni d'interni e nelle zoomate alternate sui singoli personaggi.

Mi viene in mente Jane Austen, grande narratrice di dinamiche sociali interne e di dissidi interiori, consapevolmente dimentica di quelle esterne e di ogni contestualizzazione storico-politica. L'amiamo forse meno per questa sua mancanza? No.
L'altra Jane, la Howard, fa in qualche modo la stessa cosa, si focalizza sull'interno e l'interiore, ma con più audacia, entrando nell'intimo e nella mente di ogni suo personaggio, anche in zone scomode.
E io la amo moltissimo per questo.

Speranze, prove, ricerche della propria inclinazione e anche tradimenti, segreti, dolori.

In particolare delle tre piccole donne Cazalet, cuori pulsanti e centrali di questo secondo volume, che avevamo lasciato poco più che bambine e che adesso si affacciano alla vita e alle sue prime complicazioni.
Louise con le sua ambizioni da attrice, le sue prime confuse esperienze sentimentali e di dolore di derivazione familiare.
Si ricordò quello che le aveva detto zia Rach a proposito della sua età, quando ci si rende conto che i genitori non sono solo genitori ma persone e che avere a che fare con delle persone è assai più complicato che avere a che fare con dei semplici genitori. Ai genitori uno doveva semplicemente reagire, non doveva preoccuparsi per loro.
Clary, aspirante scrittrice, che tiene un diario quotidiano, scrive lettere al padre in guerra e lotta con la noia a colpi di inventiva letteraria.
Sono stata interrotta mentre scrivevo, e meno male: ho riletto quello che ho scritto finora e mi è venuto da sbadigliare per la noia. Perché la vita di una persona normale è così piena di cose ripetitive e meschine? È davvero inevitabile? Che cosa si può fare per cambiare? Polly sostiene che da grandi sarà tutto diverso, ma io, in cuor mio, credo che si sbagli: a me pare che gli adulti vivano, se possibile, vite ancora più grigie.
Polly, che non sa bene cosa fare di se stessa e soffre del vuoto di azione e di prospettive portato dalla guerra.
Oltre a fare paura, la guerra stava rendendo tutto molto monotono. Eccola che diventava ogni giorno più vecchia, senza che nulla accadesse nella sua vita: non aveva nemmeno una stanza tutta per sé, come l'aveva avuta a Londra. Se un anno prima qualcuno le avesse detto che a vivere lì in campagna si sarebbe annoiata fino alle lacrime, gli avrebbe riso in faccia. Adesso era tutto diverso. Adesso il futuro le sbadigliava in faccia come un grosso, apatico punto interrogativo. Che ne sarebbe stato di lei? Che cosa mai se ne sarebbe fatta dei molti anni che presumibilmente l'attendevano?

E poi tutto il resto della famiglia, tra alti e bassi, tra segreti e bugie, tra sogni e rinunce, in quella dimensione amplificata e silenziosa che è la guerra.
E con quel magnetismo che ha la scrittura di  Howard.

A prestissimo miei amati Cazalet.

Commenti

  1. Ma sono l’unica a non esser ancora stata attratta dal magnetismo dei Cazalet??

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