I Love Books: 142. I racconti di Pietroburgo


La Prospettiva Nevskij, le atmosfere surreali, le apparizioni senza senso, le perdizioni e le predizioni, una versione di San Pietroburgo onirica e grottesca che se si decide di accettare riserva sorprese e seduzioni.

I romanzieri russi sono sempre macchine di furore letterario, sono impetuosi e trainanti; a dispetto del rigore termico in cui scrivono sciolgono glaciazioni con le loro penne infuocate.

Gogol' è ancora di più di questo: è pazzo.

Di una pazzia creativa in grado di offrire sorrisi e turbamenti al lettore; il suo è un gioco con regole speciali a cui si partecipa sospendendo ogni puntiglio e disappunto razionale.
Mi sono immersa nel suo mondo privo di senso eppure vicinissimo alla verità con l'intenzione di scrollarmi di dosso un po' di serietà e di dimenticare il dramma amplificato della mia precedente lettura.

Ci sono riuscita. Cinque racconti, cinque diverse sperimentazioni, una letteratura russa diversa da quella più impegnativa e maestosa a cui sono abituata.

Qui si scherza, si varia registro, si racconta senza troppe preoccupazioni per la logica e con tanto tanto sarcasmo.

Con il naso del racconto Il naso, che se ne va in giro per la città mentre il suo padrone lo cerca disperato, mi sono divertita, ho fiutato della massiccia dose di ironia e me ne sono appropriata terapeuticamente.
Ma quello ch'è invero più strano e più incomprensibile di tutto il resto, è come gli autori possano scegliersi consimili soggetti. Confesso che ciò mi riesce del tutto incomprensibile, ciò davvero... no, no, assolutamente non capisco!
Il ritratto con la sua storia di poteri sinistri su sventurati pittori, mi ha appassionato e turbato (di un turbamento simile a quello che dà Il ritratto di Dorian Gray).
Čartkov s'avvicinò di nuovo al ritratto per osservare quei portentosi occhi, e notò con terrore che essi guardavano lui appunto. Questa non era una copia dal vero: questo era il ritratto di un morto levatosi dalla tomba.
Piskarev e Pigorov nel racconto La Prospettiva, il loro inseguire donne e illusioni in una strada che è molto di più di una semplice strada, mi hanno fatto camminare dentro la città, in presa diretta.
Ma la cosa più strana sono i fatti che avvengono sulla Prospettiva. Oh, non vi fidate della Prospettiva! Io sempre mi avvolgo più stretto nel mantello, quando ci passo, e mi studio di non guardare gli oggetti circostanti. Tutto è qui inganno, tutto delirio, tutto è altro da ciò che sembra.
Il giornale di un pazzo è forse il punto più alto del delirio narrativo di Gogol', è pura anarchia interna ed esterna alla trama. Lo scambio epistolare fra due cani è geniale.
Queste lettere mi riveleranno tutto. I cani sono gente accorta, essi conoscono tutte le relazioni politiche [...].
Infine Il mantello (noto più come Il cappotto), il mio preferito, pienamente tragicomico, un mix di meschinità impiegatizia, umanità e satira.
C'è a Pietroburgo un potente nemico di coloro che tirano quattrocento rubli l'anno di stipendio o giù di lì. Questo nemico altri non è che il nostro freddo nordico, sebbene vadano dicendo che è molto sano.
Il tutto con una prosa volubile, che apre parentesi e non le chiude, che si sofferma su dettagli e poi ad un tratto cambia prospettiva, che fa uso di un lessico fantasioso e non sempre canonico (la traduzione di Tommaso Landolfi è impeccabile nella resa di questa tendenza ludica), che stupisce per inventiva e per sagacia.

Credo che ogni tentativo di inquadrare Gogol' dentro correnti letterarie sia vano, è un autore sui generis che sembra farsi beffe di appartenenze e definizioni, che volteggia fra le sue invenzioni come un saltimbanco che conosce benissimo l'animo umano ma non vuole darlo troppo a vedere.

C'è tanto paradosso, ci sono situazioni surreali, ma dietro questa coltre di inverosimile ci sono analisi e panoramiche sociali interessanti, c'è un sottobosco di corruzione, viltà e malcostume che Gogol' non sembra tanto voler denunciare quanto deridere.

Gogol' è satirico, questo si può affermare senza ombra di dubbio.

Da purista del romanzo russo ortodosso, colmo di storia, guerra, politica, eros e thanatos, a volte ho trovato I racconti di Pietroburgo un po' teatrali, uno scherzo dalla durata a rischio di esagerazione, ma nel complesso sono stata bene, ho sottolineato passaggi, ho girato per la città russa ridendo sotto i baffi.

"Siamo tutti usciti dal cappotto di Gogol'" diceva Dostoevskij, un cappotto stravagante, di grande personalità, non adatto ai seriosi, perfetto per gli spiritosi di una certa profondità.

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